Tra musica, azione rituale ed immagini proiettate, lo spettacolo firmato Shirin Neshat, Shoja Azari e con la musica di Mohsen Namjoo, inserito nel Napoli Teatro Festival Italia.
Passage through the world, progetto sit-specific che vive fino a lunedì 20 giugno nello spazio della chiesa sconsacrata di Donna Regina Vecchia di Napoli, esprime l'approccio innovativo di questa edizione del Napoli Teatro Festival: la dimensione internazionale intreccia la dimensione locale, in una visione del teatro non considerato solo come la messa in scena di parole o gesti, ma come superamento/dialogo tra le arti e le modalità espressive.
Una parola che, forse, può spiegare questo spettacolo, definito un' "odissea musicale e visiva", è mescolanza: intrecci tra sonorità, culture, mezzi espressivi. Passage through the world è un viaggio tra vita e morte che vive in musica, immagini proiettate, azioni, ideati da artisti iraniani: Shirin Neshat e Shoja Azari, video artisti,ne firmano la regia (va segnalato che di Shirin Neshat al museo Madre di Napoli si può vedere l'opera “Women of Allah”e, nella stazione di Toledo della Metropolitana “Il teatro è vita, la vita è teatro”) e la creazione musicale è di Mohsen Namjoo.
Il percorso, originariamente creato per il progetto del Teatro Pubblico Pugliese, Misteri e Fuoco, qui viene riadattato alla dimensione napoletana. Lo spettacolo diventa un evento site-specific per la chiesa Donna Regina Vecchia, con lo spazio scandito dal coro delle monache e dal monumento funebre di Maria d'Ungheria solennemente creato da Tino di Camaino nel 1323. Uno scenario adatto a uno spettacolo che, attraverso suoni e visioni, parla di lutto, morte, dolore e al contrario di vita come desiderio, come dimensione, come forma. Come nello spettacolo di Bari, ci sono le cantanti-attrici vestite di bianco, disposte in cerchio sulla scena e le proiezioni di video con donne vestite di nero che 'cantano' L'eterno riposo. La sonorità del rito della lamentazione funebre del Sud Italia si affianca alle sonorità centrali della composizione musicale dell’iraniano Mohsen Namjoo, che rilegge brani popolari provenienti dal Tibet e dalla Mongolia, attraversando la Turchia e i Balcani. Nella versione del Teatro Festival campano viene aggiunta anche la sonorità napoletana scandita dalla presenza, ai lati del pubblico, di una fila verticale di donne in nero che sostengono i lamenti. In particolare la voce di Antonella Morea si esprime in canti napoletani sul tema del lutto. Musica e immagini, proiezioni, voci e azioni si fondono in un rituale ritmico che racconta il sapore di eterno.
Sono particolarmente suggestive le proiezioni, dimensione portante dello spettacolo. Si riconosce in pieno lo stile di Shirin Neshat: immagini in bianco e nero che bloccano i volti e le posture di figure femminili vestite di nero. Non sono foto, sono immagini statiche, statuarie che respirano ed emanano l'energia vitale del loro sentire e che, di tanto in tanto, diventano voce viva che recita come un mantra L'eterno riposo. In contrasto le donne in bianco, disposte in cerchio, cantano dal vivo guidate, provocate, stimolate e integrate con la figura maschile di Mohsen Namjoo, che fa da trait-d'union con il suo peregrinare in cerchio nello spazio della chiesa. Il cerchio è l'unico modo di agire lo spazio e nello spazio: tutto ha un sapore di ritualità antica in cui il viaggio musicale vive in sonorità che sanno di ancestrale.
Splendide le voci dell'ensemble vocale Faraualla (Maristella Schiavone, Gabriella Schiavone, Mari Teresa Vallarella, Serena Fortebraccio) e del fascinoso Mohsen Namjoo. Meno integrato, anche se con il suo senso, il percorso delle note napoletane. Il coro in nero che fa da contrasto, da cornice al coro bianco e la calda voce di Antonella Morea sa di omaggio a Napoli più che di reale intreccio, un modo di interagire con una cultura in cui, appunto, sonorità e tragica visione vivono in testi senza epoca. Ciò che conta in questo modo di concepire l'arte e il teatro è l'emozione del momento, quel lasciarsi attraversare dal riecheggiarsi di senso che vive nelle sonorità, nei ritmi, ma anche nella dimensione visuale statica, rituale, ripetitiva dell'agire che consente, su un tema essenziale come quello di vita e morte, un "Passaggio attraverso il mondo".